Dior, accordo con l’Antitrust sullo sfruttamento: vale 2 milioni

Dopo l’istruttoria Antitrust sul lavoro nella filiera moda, Dior si impegna a investire 2 milioni in progetti per riconoscere e accompagnare chi è stato coinvolto in contesti di sfruttamento

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 21 Maggio 2025 09:51

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha chiuso l’istruttoria avviata a luglio 2024 nei confronti di Christian Dior Couture, Christian Dior Italia e Manufactures Dior. Pur in presenza di elementi che descrivono contesti di sfruttamento lavorativo nella filiera, non sono state accertate violazioni formali.

La procedura si è dunque conclusa con l’accettazione di impegni vincolanti. Tra questi, un fondo da 2 milioni di euro da distribuire in 5 anni per finanziare progetti rivolti all’identificazione delle vittime, alla loro tutela legale e al reinserimento lavorativo.

Antitrust chiude l’istruttoria su Dior: cosa prevede l’accordo

L’indagine era nata dal sospetto che Dior promuovesse un’immagine etica non coerente con la realtà della sua filiera produttiva. In particolare, l’Antitrust ipotizzava che il gruppo vantasse elevati standard di responsabilità sociale mentre alcuni suoi fornitori di pelletteria operavano in condizioni tutt’altro che eccellenti.

Già un’inchiesta della Procura di Milano aveva portato alla luce laboratori clandestini nell’hinterland milanese, dove lavoratori sottopagati, spesso immigrati irregolari, confezionavano borse in pelle vendute poi a marchi di lusso come Dior e Armani per una minima parte del prezzo finale. L’accusa era dunque quella di alimentare la rete del caporalato.

Questa situazione contraddiceva nettamente le dichiarazioni etiche delle maison, che enfatizzavano artigianalità e rispetto dei lavoratori. L’Autorità aveva dunque contestato a Dior possibili pratiche commerciali scorrette per pubblicizzare eccellenza e responsabilità sociale, mentre nella realtà la produzione si appoggiava a fornitori con salari da fame, orari di lavoro oltre i limiti di legge e scarsa tutela della sicurezza.

Perché Dior era finita sotto inchiesta: le accuse della Procura e dell’Antitrust

La chiusura dell’istruttoria senza sanzioni non equivale a un “nulla di fatto”: Dior ha dovuto impegnarsi formalmente a migliorare la filiera. L’Antitrust, infatti, ha reso obbligatori una serie di interventi proposti dal gruppo per evitare il ripetersi di situazioni di sfruttamento.

Primo fra tutti, un fondo di 2 milioni di euro in 5 anni destinato a progetti di emersione e recupero delle vittime di lavoro sfruttato. Tali iniziative mirano a identificare i lavoratori coinvolti in sistemi illeciti (come il caporalato e il lavoro nero) e ad accompagnarli in percorsi di protezione, assistenza e inserimento lavorativo.

In aggiunta al piano di sostegno, Dior ha accettato di rivedere le proprie politiche interne. Verranno modificate le dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale aziendali per aderire maggiormente alla realtà dei fatti.

Saranno introdotte nuove procedure di selezione e monitoraggio dei fornitori, con controlli più rigorosi lungo la filiera produttiva. Il gruppo avvierà inoltre programmi di formazione interna sul diritto del consumatore per i dipendenti coinvolti nel marketing e nella comunicazione, così da evitare messaggi pubblicitari ingannevoli sul tema della sostenibilità.

Parallelamente, è prevista una formazione esterna rivolta a fornitori e subfornitori sui principi etici del Codice di Condotta Dior e sulle normative in materia di lavoro, per diffondere standard più alti di legalità in tutta la catena produttiva.

Impegni vincolanti e 2 milioni di euro: il piano Dior contro lo sfruttamento

Il caso Dior accende i riflettori su un problema annoso del settore moda, anche quello del lusso: il contrasto tra l’immagine patinata dei brand e le ombre nelle loro filiere produttive.

I grandi marchi investono enormi budget in marketing per comunicare artigianalità, qualità eccellente e responsabilità sociale, ma questi valori rischiano di essere vanificati se a monte vi sono operai sfruttati in laboratori irregolari.

Negli episodi emersi in Italia, le condizioni descritte (operai a 12 ore al giorno per pochi euro e in ambienti insalubri) stridono con la retorica del savoir-faire e del lusso etico sbandierata nelle campagne pubblicitarie.

Da qualche tempo, tuttavia, si assiste a una crescente attenzione al tema: consumatori più consapevoli e investitori attenti ai fattori Esg scrutinano la sostenibilità sociale delle aziende di moda.

Anche le autorità, come dimostra l’intervento dell’Antitrust, guardano oltre il semplice prodotto finito e valutano la trasparenza della catena di fornitura come parte della correttezza verso il consumatore.

Sotto questa pressione, molte case di moda hanno iniziato a rivedere i propri modelli produttivi: alcune stanno riducendo i subappalti e riportando in casa le lavorazioni più delicate, pur di evitare i rischi reputazionali legati a scandali di sfruttamento.

Sfruttamento nella moda: il lato nascosto del Made in Italy di lusso

Quello di Dior non è un caso isolato. Negli ultimi anni, diverse inchieste hanno svelato pratiche di sfruttamento in aziende della moda, portando a provvedimenti clamorosi.

Nel 2024, ad esempio, Giorgio Armani Operations, la società produttiva del gruppo Armani, è finita sotto amministrazione giudiziaria con l’accusa di non aver vigilato sulla filiera e di aver così agevolato fenomeni di caporalato, tramite opifici abusivi e manodopera cinese clandestina.

Solo pochi giorni fa un provvedimento analogo ha colpito la Valentino Bags Lab, controllata della maison Valentino specializzata in pelletteria, accusata di aver omesso i controlli sui subappaltatori e di aver tratto beneficio da laboratori dove si sfruttavano pesantemente lavoratori stranieri.

In entrambi i casi, le autorità hanno rilevato condizioni di lavoro indegne nascoste dietro prodotti di alta gamma, confermando che il fenomeno tocca anche il Made in Italy di lusso.