Chi sono oggi gli italiani che si definiscono “ceto medio”? Secondo il Rapporto Cida-Censis pubblicato il 22 maggio 2025, rappresentano la maggioranza relativa della popolazione: il 66,1% si riconosce in questa fascia sociale. Ma dietro questa auto-percezione si nasconde una condizione sempre più instabile. Negli ultimi dieci anni, il ceto medio ha visto erodere la propria ricchezza reale, con un crollo del patrimonio medio pro-capite del 19,7%. A pesare non sono solo l’inflazione e il caro-vita, ma anche un sistema fiscale considerato eccessivamente gravoso da ampie fasce di lavoratori e famiglie.
Sempre più italiani, infatti, percepiscono troppe tasse sul lavoro dipendente e un welfare pubblico incapace di rispondere ai bisogni essenziali. A soffrire di più sono le famiglie con figli. La metà dei genitori appartenenti al ceto medio teme che le nuove generazioni avranno condizioni di vita peggiori. Tra timori per il futuro c’è l’aumento delle spese quotidiane e l’incertezza pensionistica. Cresce così la ricerca di soluzioni alternative, come polizze sanitarie, fondi integrativi e previdenza privata.
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Chi è il ceto medio?
Il 66,1% degli italiani si colloca autonomamente nel ceto medio, mentre solo il 5,7% si definisce “benestante” e il 28,2% si riconosce nella fascia “popolare”. Il ceto medio, quindi, continua a rappresentare l’idea dell’equilibrio, della stabilità, dello stare bene con il giusto. Ma oggi più che mai, questa identità è messa alla prova da dati economici.
Dal 2014 al 2024, il patrimonio medio reale dei decili centrali, quelli che storicamente corrispondono al cosiddetto “ceto medio alto”, si è ridotto del 19,7%. A questo si aggiunge un forte di ingiustizia, tanto che il 74,2% degli occupati appartenenti al ceto medio ritiene di meritare uno stipendio più alto, perché le proprie competenze non sono adeguatamente riconosciute.
“La ricerca dimostra che oltre due terzi degli italiani sente di appartenere al ceto medio. Un ceto protagonista vitale della società italiana, ma da troppo tempo costretto a difficili adattamenti” – ha sottolineato Giorgio De Rita, Segretario Generale del Censis – “Tutelarlo e rilanciarlo è oggi una scelta essenziale per la crescita del Paese”.
A sentirsi parte di questo gruppo sociale sono anche i pensionati. In una società che invecchia, infatti, non si possono più considerre i pensionati come un gruppo a parte. Al contrario, la loro auto-percezione racconta un forte senso di appartenenza: il 69,1% dei pensionati italiani si definisce ceto medio, così come il 65,4% degli anziani. Non si tratta solo di un dato statistico, ma del riflesso della storia del nostro Paese: queste generazioni hanno vissuto in pieno la fase di espansione economica del dopoguerra e ne sono state protagoniste. Hanno quindi contribuito a costruire il modello di consumo, benessere e mobilità sociale che per decenni ha rappresentato il cuore dell’identità italiana e che oggi vediamo in crisi.
Pensare meno al proprio avvenire
Se in passato il ceto medio italiano si distingueva per una forte proiezione verso il futuro, l’idea di costruzione di risparmio, investimento, istruzione, e previdenza, oggi questo orientamento sembra essersi affievolito. Secondo il Rapporto Cida-Censis, solo il 37,6% di chi si definisce ceto medio pensa al proprio avvenire in modo molto frequente, contro il 42,1% del ceto popolare e quasi il 44% dei benestanti.
È un’inversione culturale rilevante: essere o voler diventare “ceto medio”, un tempo, significava proprio costruire il proprio futuro, in famiglia e nella società, con l’idea che l’impegno del presente avrebbe portato fortuna domani. Oggi, invece, questa fiducia sembra venire meno.
Questo calo di attenzione verso il domani, sia personale che collettivo, racconta una perdita di fiducia (che si riflette nel consumo) per la crescita sul lavoro, il merito e il risparmio. Un mind-style che ha segnato intere generazioni e che ora rischia di dissolversi, lasciando spazio a una visione più rassegnata e a un presente tutto da gestire.
Quando il welfare pubblico non basta più
La percezione di declino non riguarda solo reddito e consumi, ma anche la qualità dei servizi pubblici. Oltre il 40% degli italiani di ceto medio segnala un peggioramento del welfare negli ultimi tre anni e il 55,2% lo considera “insufficiente” per coprire le prestazioni essenziali come sanità, scuola e assistenza.
In risposta a un sistema pubblico sotto pressione, molte famiglie hanno scelto di attivare strumenti integrativi:
- il 44,9% dispone di almeno una copertura aggiuntiva come polizze sanitarie, fondi pensione o tutele per la non autosufficienza
- il 21,3% ha sottoscritto due o più soluzioni.
È il segno, si legge nel report, di un pilastro parallelo di sicurezza sociale che si affianca (e talvolta sostituisce) quello pubblico, spinto anche dall’invecchiamento della popolazione e dall’amplificazione della domanda di tutela.
Ma il dato forse più rivelatore è quello delle intenzioni. Infatti chi non ha strumenti di welfare integrativo spesso vorrebbe attivarli, ma non può permetterselo. Tra chi si identifica come ceto medio:
- il 36,5% vorrebbe sottoscrivere una polizza sanitaria integrativa;
- il 33,3% aderirebbe a un fondo pensione;
- il 33,8% desidererebbe una copertura long term care, contro la non autosufficienza;
- il 35,8% degli occupati auspica che il proprio contratto collettivo preveda una tutela sanitaria integrativa.
Un’intera fascia sociale cerca dunque di attrezzarsi da sé, con uno sforzo personale che ha ormai assunto la forma di una mobilitazione diffusa e strutturale. Così senza un rafforzamento delle tutele collettive, il rischio è che anche il welfare diventi questione di reddito e non più di diritto.
Più spese per i figli
La frattura più evidente si manifesta infine nei nuclei con figli. Secondo il rapporto, il 50% dei genitori del ceto medio è convinto che la prossima generazione avrà una qualità della vita peggiore della propria. Solo il 27,3% esprime fiducia nel futuro dei propri figli. È un dato che non parla solo di ansia diffusa, ma di una reale difficoltà nel garantire accesso a istruzione, salute e mobilità sociale.
Le famiglie, infatti, affrontano un carico crescente di spese invisibili ma essenziali: dalle ripetizioni scolastiche ai corsi di lingua, dalle rette per l’università ai contributi per visite mediche private. Anche la transizione ecologica, pur condivisa a parole, viene vissuta come un ulteriore aggravio: il 68,5% del ceto medio ritiene che pesi troppo sui bilanci familiari.
Mario Mantovani Cuzzilla, in conclusione, sottolinea la vera partita politica da giocare:
Il tempo delle analisi è finito. Servono scelte nette: una riforma fiscale che alleggerisca il lavoro dipendente, una rivalutazione delle pensioni, una lotta seria all’evasione. È il 70% degli italiani a chiedere meno tasse sui redditi lordi, non possiamo ignorarlo.