Permessi 104 per andare in RSA, scatta il licenziamento

Attenzione all’abuso dei permessi retribuiti con la 104: se il familiare è già ricoverato in RSA, il rischio di licenziamento è concreto

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 4 Giugno 2025 09:01

La magistratura interviene frequentemente sugli abusi dei permessi retribuiti previsti dalla Legge 104/1992, per garantire che questi benefici siano utilizzati esclusivamente per la finalità di assistere familiari con disabilità grave. In effetti l’uso improprio delle agevolazioni, ad esempio per attività personali non correlate all’assistenza, è una violazione dei principi di buona fede, diligenza e correttezza contrattuale, e giustifica il licenziamento per giusta causa (senza preavviso).

Una recente decisione della Corte di Cassazione, l’ordinanza 5948/2025, ha nuovamente affrontato questi temi. Ha spiegato che rischia seriamente di essere cacciato dall’azienda in cui lavora chi chiede e ottiene il permesso ma ha il familiare già assistito a tempo pieno in una struttura.

Il caso del dipendente licenziato

Come indica la decisione della Suprema Corte di qualche settimana fa, in corte d’appello era stata confermata la sentenza del giudice del lavoro che ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare inflitto da una società a un suo dipendente.

La perdita della necessaria fiducia nel lavoratore era sopraggiunta perché aveva abusato dell’agevolazione dei permessi di cui all’art. 33 comma 3 della legge 104, secondo cui:

colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità, parente o affine entro il terzo grado, convivente, ha diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno.

Il giudice di secondo grado, ricorda la Cassazione nel suo provvedimento, aveva confermato la giustezza della massima sanzione disciplinare sulla scorta dei documenti e delle testimonianze ottenute in corso di causa.

Le prove dell’abuso dei permessi 104

In sostanza era stato provato l’abuso dei permessi 104 perché effettivamente risultava che:

  • il familiare con disabilità grave, all’epoca dei fatti contestati, era ricoverato in modo permanente e a tempo pieno presso una RSA;
  • il dipendente dell’azienda si era recato a visitare il parente per un tempo limitatissimo in ciascuna delle giornate di permesso fruite.

La permanenza nella RSA – fa notare la magistratura – è in tutto e per tutto assimilabile all’assistenza a cui anzitutto si riferisce il legislatore, ossia quella ospedaliera. Infatti la struttura assistenziale, oltre all’affiancamento di medici, forniva giorno e notte i suoi servizi al familiare, grazie alla presenza di infermieri professionali, OSS qualificati e fisioterapisti.

Al contempo, spiegano i giudici d’appello, la breve visita giornaliera del lavoratore era una forma di assistenza atecnica, ossia affettiva o morale ma priva dei compiti riservati al personale della stessa struttura. In estrema sintesi il ricorso ai permessi 104, in queste condizioni, era del tutto svuotato e privo di senso, apparendo semmai come una sorta di escamotage per assentarsi dal lavoro.

Contro l’appello, nel tentativo di ribaltarne lo sfavorevole esito, il dipendente licenziato aveva presentato ricorso presso i giudici di piazza Cavour.

La conferma della Cassazione

In Cassazione il legale dell’uomo ha contestato la decisione di secondo grado, criticando il giudice d’appello per aver erroneamente interpretato l’art. 33 della legge n. 104 del 1992 nella misura in cui:

ha ritenuto inidonea (e anzi, configurante un abuso del diritto) l’assistenza parziale e residuale (circa mezz’ora ogni giorno di permesso) prestata dal lavoratore al parente con disabilità, considerato l’attuale approccio articolato e flessibile della giurisprudenza di legittimità (che in sintesi ritiene idonea un’assistenza al familiare con disabilità anche svolta in orari diversi da quelli dell’orario di lavoro).

Non solo. Il dipendente non avrebbe dovuto essere licenziato perché, in ogni caso, l’abuso dei permessi 104 deve sì considerarsi assenza ingiustificata dal posto di lavoro, ma l’evento, in base al Ccnl applicato in questo rapporto di lavoro (Metalmeccanici Industria), punisce con il licenziamento solamente se protratto per 4 giorni consecutivi. Essendosi l’uomo assentato per soli tre giorni, la sua difesa ha ritenuto ingiusto e sproporzionato il licenziamento.

Tuttavia, la Cassazione ha confermato l’appello da un altro punto di vista. La Corte ha infatti valutato il ricorso inammissibile perché, sostanzialmente, non ha portato all’attenzione della stessa alcun vizio o errore nel ragionamento logico e giuridico del giudice di secondo grado.

Allo stesso tempo i fatti di causa provavano il ricovero del familiare disabile in una RSA che assicura assistenza sanitaria continuativa, al pari di un ospedale. È l’orientamento già espresso dalla Suprema Corte che infatti ha richiamato il suo precedente 21416/2019.

La ricostruzione è aderente al testo del terzo comma dell’art. 33 della legge n. 104 ed esclude il diritto ai permessi giornalieri retribuiti. Per questo risultavano dimostrati sia l’abuso che la correttezza del licenziamento per giusta causa.

Quando scatta il licenziamento

Ancora una volta la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulle violazioni delle regole sui permessi legge 104.

Si pensi ad esempio alla sentenza con cui la Cassazione ha spiegato che conta non solo il numero di ore dedicato all’assistenza della persona con disabilità. ma anche la qualità dell’assistenza stessa, oppure alla decisione 24130 dello scorso anno, con cui i giudici hanno spiegato la questione delle spese personali e shopping durante le ore di permesso.

In linea generale, la giurisprudenza indica che ci deve essere un collegamento diretto tra l’assenza dal lavoro e l’effettiva assistenza al familiare con disabilità, altrimenti il rischio di grave sanzione disciplinare è alto.

In mancanza del nesso e, quindi nei casi di accertato abuso, il lavoratore subordinato, pubblico o privato, non ha diritto a godere di 3 giorni di permesso mensile retribuito e coperto da contribuzione figurativa.

Concludendo, il familiare ricoverato a tempo pieno e assistito totalmente da operatori e professionisti sanitari, esclude il diritto al permesso e il dipendente beccato a usare queste agevolazioni per assentarsi dal lavoro rischia concretamente di perdere posto in modo irreparabile.